Iniziamo, con questa breve recensione, una rubrica che riteniamo importante per il nostro obiettivo primario: essere a servizio della Cura e, in particolare delle Cure Palliative. Condividiamo, cioè, con voi alcune riflessioni sorte dalla lettura di libri che sono come “farmaci”, cioè “rimedi, medicamenti” cui attingere per scoprire spunti utili alla vita professionale e personale. Libri dove le parole hanno un peso “buono”, che ci può “fare bene” e può poi, circolarmente, “fare bene” anche ad altri.
La Letteratura come altra faccia della Cura, in buona sostanza: come strumento, cioè, per sviluppare quelle competenze narrative che, è ormai riconosciuto, sono fondamentali per un buon curante e sono da integrare, fin dai tempi degli studi, con le competenze più squisitamente scientifiche.
Uno spunto, ci auguriamo, per chi vuole praticare una cura integrale, che si rivolge alla totalità della persona che sta dietro ad ogni paziente.
L’elogio della Tenerezza
Da Tenerezza di Eugenio Borgna, Einaudi, 2022
“Non c’è cura dell’anima e del corpo, se non accompagnata dalla tenerezza che, oggi ancora più che nel passato, è necessaria a farci incontrare gli uni con gli altri, nell’attenzione e nell’ascolto, nel silenzio e nella solidarietà”.
Inizia così questo libricino del noto psichiatra Eugenio Borgna, libro piccino nelle dimensioni, ma immenso nella saggezza e nell’ampiezza di stimoli che propone al lettore nel suo percorso di riflessione sulla più fragile delle emozioni: la tenerezza.
Perché è tanto importante per chi cura, e ancor più per chi opera nel campo delicatissimo delle Cure Palliative, soffermarsi sull’importanza di questa impalpabile alleata nella cura del corpo e dell’anima di chi soffre?
Prendiamo a prestito le parole stesse dell’autore, che le ammanta di preziose riflessioni avvalendosi dell’aiuto della poesia, cioè di quel linguaggio altro di cura capace di esprimere a meraviglia anche ciò che spesso richiede metafore capaci di far intuire l’indicibile e l’invisibile.
Borgna racconta di “parole” e di “silenzi” intrisi di tenerezza; sottolinea come essa si esprima anche attraverso le “lacrime”, pertanto non più viste come segni di debolezza, ma come “dono”, “segno di sensibilità e apertura al destino degli altri” e, nel loro mistero, come “segno di un grande dolore o di una grande speranza”. Quante volte ci è capitato di accogliere la comunicazione di una diagnosi infausta o il gettare la maschera da parte di un paziente o di un familiare con fiumi di lacrime di tristezza e autenticità al tempo stesso…
L’autore sottolinea, poi, come la vita, fatta di relazioni, spesso parla con “la voce degli occhi”, dove gli sguardi “dicono cose che le parole non dicono”: e come è vero che, talvolta, uno sguardo affettuoso ad un paziente può tramutarsi in un balsamo oppure, al contrario, uno sguardo distratto o indifferente può divenire un ulteriore motivo di sofferenza e solitudine.
Allora, continua Borgna, ”guardiamo negli occhi le persone che il destino ci fa incontrare, e in particolare quelle che stanno male e chiedono il nostro aiuto”!
Altro bellissimo spunto è il suo annotare come la tenerezza sia circolare, capace di “creare comunità di cura” e come ogni manifestazione di questa inafferrabile emozione, in realtà, si trasformi in “gesti di cura”: non è forse anche il “modus operandi” della nostra Dottoressa Cicely Saunders? Con i suoi pazienti, soprattutto con i più stretti, i “pazienti fondatori”, si sentiva in comunione e con tutti coloro che, a vario titolo, collaboravano con lei sentiva di formare una comunità di cura.
Che dire della cura come “relazione”, espressa anche nel “contatto”, nella “carezza”, interrogandosi sulla “dovuta distanza” tra medico e paziente: si tratta dell’importanza di “essere accudito”, che passa anche attraverso il tocco rispettoso e gentile del “corpo” del paziente. Quanti echi con l’annoso dilemma “simmetria/asimmetria” di sano e malato: e se fosse, invece, un “contatto” anche emotivo, purché non sconfinante in un “contagio” pericolosamente incline al burnout?
In conclusione, la tenerezza è un atto di “coraggio”, è un balsamo capace di irrorare e illuminare di speranza perfino le “notti oscure dell’anima”, quelle che arrivano a tutti, prima o poi, nella vita: quando ci si trova nel terreno straniero della malattia, quando muore una persona cara o, per stare nell’attualità, quando una pandemia priva dei sorrisi, degli abbracci e della presenza prima data per scontata.
Con la grande Etty Hillesum illuminiamo il “cuore” e il “coraggio” della tenerezza, di cui ha gran bisogno sia chi si trova rinchiuso in una stanza di ospedale o inchiodato ad un letto di un hospice, sia chi lo accompagna alla soglia della vita: “Ma cosa credete, che non veda il filo spinato, non veda i forni, non veda il dominio della morte, sì, ma vedo anche uno spicchio di cielo, e questo spicchio di cielo ce l’ho nel cuore, e in questo spicchio di cielo che ho nel cuore vedo libertà e bellezza. Non ci credete? Invece è così”.
La forza della tenerezza; la vitalità della speranza; l’importanza delle Cure Palliative, dove la tenerezza, da “rifugio”, si fa “mantello” che protegge e custodisce.