“Curare la spiritualità. Un’esigenza condivisa”: che meraviglia, al Congresso nazionale SICP in sala Concordia B, si dedica tempo e spazio a questo tema importante e, al contempo, talora fonte di equivoci. Balza subito evidente che il taglio è quello “giusto”: non si parla di religiosità, ma di spiritualità… e sembra scontato che siano due cose ben diverse, ma non lo è affatto!
La “necessità di avere strumenti spirituali e di essere strumenti spirituali”, non necessariamente religiosi, era già stata evidenziata poco prima dalla dottoressa Silvia Tanzi in sala Costanza, a corredo di un’interessantissima presentazione del Corso annuale per Assistenti spirituali in CP tenutosi nella sua Unità di cura: con strumenti qualitativi di cui conosco bene il valore e l’efficacia (interviste semi-strutturate, scrittura riflessiva e word cloud) e la bellezza dell’esperienzialità, un tempo di qualità, seppur anche faticoso, ha portato a riandare alle proprie radici spirituali e a illuminare una connessione d’équipe su questo argomento, con tanta gratitudine per la vita e le persone incontrate.
Lei stessa, nella sessione successiva, invita a “cercare, come Professionisti, di tirare fuori i bisogni spirituali dei pazienti”, che talvolta non si avvertono, e si richiama al modello dell’Ars moriendi di Leget. A questo proposito, uno dei moderatori, Guido Miccinesi, commenta che è importante “rileggere l’eredità spirituale (anche religiosa) che si è incarnata in generazioni e renderla nuovamente attuale”.
Poi, è la volta di un intervento talmente luminoso e profondo che mi piacerebbe riportarlo tutto… Il sacerdote di Chiavari Mario Cagna, assistente spirituale in Hospice e assistente religioso in Ospedale, sottolinea che non tutte le persone sono religiose, ma che i bisogni spirituali sono di tutti; che occorre tanta formazione di sé per stare “a bordo letto” e che la capacità di essere presenti, unita al tenere la mente aperta, è fondamentale nella cura spirituale. Riprende Ostaseski nel sottolineare la necessità di “arrendersi al sacro e accompagnare con fiducia”, dove “accompagnare “significa semplicemente “la mia strada non è la tua”.
Di fronte alla sofferenza, dice, ci vogliono “compassion” ed “expertise”; ricorda i percorsi formativi di Christina Puchalski, che ascolteremo in collegamento più tardi: GWish The art of presence, cioè seminari per essere più consapevoli che “la cura è un dono”; infine, ci mostra il suo “albero delle pratiche contemplative – comunione, connessione, consapevolezza” che è l’albero della vita, dove “ci collochiamo su rami diversi, ma abitiamo lo stesso albero”.
A conclusione, ecco in collegamento Zoom con traduzione simultanea (ma quanto è accurato nell’organizzazione questo Convegno!) proprio Christina Puchalski, rinomata Clinica ed Educatrice sanitaria a Washington, la quale conferma che “accompagnare è onere e privilegio”, dove “la tenerezza è il cuore della spiritualità”. Ma cosa significa “spiritualità”, secondo lei? Ci dona una definizione bellissima da meditare a lungo: “è il luogo interiore dove ognuno può attingere la sua speranza”. La sua speranza, quella su misura per ognuno, come la cura… E poi prosegue: “Noi, possiamo solo accompagnare”. Dove solo è sottolineatura della delicatezza di questa pratica e del suo limite, che richiede umiltà e consapevolezza.
Christina sottolinea poi, con un sorriso, che “lo spirito di servizio è la sua vocazione” e che si rifà a modelli di cura della persona nella sua interezza, uno per tutti quello della nostra Cicely Saunders. Sentirla ricordare da più persone, in questi giorni (ad esempio, da Mirko Riolfi nella sua bella relazione “a distanza”) è sentirle tributare il riconoscimento che merita.
Infine, sentirla dire che “testimoniare ciò che è sacro rivoluzionerà l’assistenza” mi pare un programma da esplorare e da prendere sul serio… Uno spunto per il Congresso del prossimo anno, chissà!