“Hospice luogo di vita: un’idea forte che ci accompagna e che sperimentiamo quotidianamente… La parola che più esprime questa dimensione speciale dell’hospice è dono, reciprocità di dare e ricevere che riempie di significato. Oggi, 12 luglio, è stato possibile realizzare il primo tassello di un progetto importante: nei momenti sacri delle ultime ore, nel clima così intimo della vicinanza di due figlie che si preparano al distacco dalla mamma che sta concludendo la vita serenamente e senza dolore, la proposta nasce spontanea: ‘Vi sembra che la mamma sarebbe contenta di un ultimo dono?’ Negli occhi commossi e grati leggiamo già la risposta di adesione alla donazione delle cornee… La prima donazione di cornee nel nostro hospice. La conferma di quanto questo gesto di generosità possa davvero essere uno dei modi in cui la vita in hospice trova il suo più autentico compimento nella dimensione del dono”.
Inizia così il comunicato colmo di sensibilità e di delicatezza del Dottor Ferdinando Garetto, Direttore dell’Hospice Cottolengo di Chieri, sulle verdi colline torinesi: mi commuove profondamente perché, oltre alla concretizzazione di un sogno lungimirante, racchiude una testimonianza inconfutabile di quanto l’Hospice è anche un luogo di vita e manifesta tutta la freschezza di un’équipe innamorata del suo lavoro, che ho avuto il piacere di conoscere personalmente un paio di settimane fa.
Nata da poco, nell’ottobre scorso, questa struttura si pone nel solco della tradizione antica e solida dell’amore per gli ammalati di San Giuseppe Cottolengo, offrendo una cura integrale incentrata sulla persona e avvalendosi, al contempo, dei più avanzati dispositivi tecnologici e di ambienti moderni estremamente funzionali, sempre a servizio dei pazienti e delle loro famiglie.
La cosa bella è che, pur essendo in collina, l’Hospice è al centro di Chieri, cioè è facilmente raggiungibile e parte della comunità che lì vive: di fianco c’è un asilo, il Duomo, la vita che scorre; un po’ come lo immaginava Cicely, “un luogo che offrisse tranquillità e, tuttavia, fosse immerso nel mondo”.
Accolta con calore da Ferdinando e Incoronata, ammiro la cura attenta dei particolari, le stanze ampie e ben congegnate, la delicatezza delle tinte pastello alle pareti, la nota allegra delle porte divisorie color del mare, la disposizione su due piani che la fa assomigliare più a una residenza familiare che a un ambiente ospedaliero… E ovunque, in corridoio o uscendo sul balcone fiorito che s’affaccia sull’ampio cortile, incontro visi sorridenti e amichevoli, che mi trasmettono un’immediata sensazione di comunione: forse perché in ognuno leggo la stessa passione per la cura che, pur declinandosi in sfumature personali, è l’ingrediente indispensabile di questa professione delicata e preziosa, che richiede un’adesione autentica del cuore, oltre che una competenza tecnica in costante formazione.
Mentre qualcuno carica la lavastoviglie o mette su il caffè, in cucina ascolto le testimonianze di Federica, in un’atmosfera di “casa” che non nasconde il fatto che lì spesso si muore, ma lo integra nella vita con rispetto e confidenza. Non per niente, appena arrivata, siamo entrati in punta di piedi nella Sala del commiato: c’è lo spazio per stare insieme o per ritagliarsi un po’ di intimità, come ognuno desidera, mentre i propri cari sono accompagnati dagli ultimi gesti di cura, quelli che chiudono il cerchio e sono importanti come un rito sacro … Qualche giorno fa c’era anche chi suonava la chitarra lì, mi raccontano, come a sottolineare che la vita continua anche se una soglia misteriosa è stata varcata.
La grande cappella centrale è un altro elemento che mi ricorda il St. Christopher’s originario, dove Cicely e il suo staff, con i pazienti e i familiari che volevano partecipare, si riunivano con spirito di comunione: le porte ampie di entrambe, la capostipite e quella in cui sosto, sono aperte per accogliere anche i pazienti allettati…
Ci salutiamo con affetto, pensando già ad un prossimo incontro: a presto, cari amici di Chieri!